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LEZIONI DI LETTERATURA ITALIANA - ANNO ACCADEMICO 1906-1907
lità nei gusti atroci del mangiar carne cruda, carne umana, dell’antropo-
fagia insomma. Ora in quel bestial segno è indicata, a mio parere, que-
sta atrocità di gusti e quindi si potrebbe anche im[m]aginare che questo
peccatore inquilino della buca di un altro peccatore possa provenire da
altro cerchio. Qui Dante è indeterminato, lascia a noi indovinare molte
cose, vuole che il suo pensiero preciso resti nell’ombra o, a dir meglio,
nella caligine. – Francesco De Sanctis chiude il commento di questo fa-
moso episodio dichiarando che l’ultimo verso:
[«] Poscia, più che il dolor, poté il digiuno» vuol dire morii di fame, ma
lascia supporre anche altra cosa. Questo concetto che Dante ha voluto
lasciare intravedere; nell’ultimo verso, qualche cosa che non ha osato
dire aperto, traluce in tutto lo svolgimento dell’episodio: comincia dal
principio e non finisce se non all’ultimo verso.
La bocca sollevò dal fiero pasto (Canto XXXIII°[)]
Dimostra odio con questo mangiare, ma è un odio di un uomo che è
morto di fame. Come Francesca e Paolo continuano all’infinito il bacio
che li perdette, così questo conte Ugolino continua eternamente a ro-
dere e ad esercitare i denti perché né l’odio, né la fame sarà mai saziata
in questo infelice.
Quel peccator, forbendola ai capelli (2-9)
Questo peccatore ha qualche cosa che non hanno gli altri dannati da
raccontare: un dolore disperato.
S’induce a parlare per quell’altro sentimento, l’odio contro l’arcivesco-
vo Ruggieri.
Ricordino la somiglianza del dramma dell’odio con quella dell’amore.
Prima di tutto quel cominciare con una sentenza virgiliana, non però
col fine di citare Virgilio, ma come dedotta dalla propria esperienza.
… «Tu vuoi ch’io rinnovelli
Disperato dolor che il cor mi preme»
(Infandum regina iubes renovare dolorem) II° 3
Francesca aveva detto: Farò come colui che piange e dice; e il conte
Ugolino: Parlare e lagrimar vedrai insieme.
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