Page 18 - Lezioni di Letteratura Italiana
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LEZIONI  DI  LETTERATURA ITALIANA - ANNO ACCADEMICO 1906-1907



                    Questa è una visione di Roma così sublime che qualche cosa sarà opportu-
                    no dire, Cineree Trecce: a vedere, in faccia a questo mondo antico ancor
                    conservato, questa inglese colle trecce biondo – cineree, il velo verde (non
                    sempre hanno buon gusto le viaggiatrici inglesi) il poeta le dà il nome che
                    le avrebbe dato Orazio: una brittanna.- I corvi erano molto considerati da-
                    gli auguri.- Avete notato il suono delle campane? – Te deprecanti: depreca-
                    re vuol dire: pregare che una cosa si allontani – Evandrio colle: il Palatino,
                    perché ivi pose sua stanza, secondo il mito, un profugo dell’Arcadia: Evan-
                    dro – Il reduce quirite, tornava dal suo commercio, e qui è fatta ragione
                    della scienza storica che riconosce nella fortuna iniziale di Roma l’efficacia
                    del suo commercio per la sua posizione sul Tevere.
                    Saturnio carme – sono i rozzi canti, che furono prima che la Grecia vinta,
                    prendesse il fiero vincitore, come dice Orazio, prima che i metri e la poe-
                    sia greca diventassero latini. Usavano gli antichi latini un certo metro che
                    non è ben determinato e che probabilmente era una prosa con qualche ca-
                    denza diversa.
                    Finiamo con un’altra visione, una visione affatto differente. Badate che il
                    poeta della 3ª Italia ha abbracciato tutte le aspirazioni, non si è limitato ad
                    essere poeta patriottico, ma è stato ed è poeta profondamente umano, che
                    ha augurato alla società un avvenire meno doloroso del presente.
                    La Madre è un gruppo di uno scultore molto amico di G. Carducci e ora
                    morto: Adriano Cecioni. Rappresenta una contadina che patulla il suo
                    bambino.
                                            La madre
                    Lei certo l’alba che affretta rosea  intende gli occhi fissi ed il piccolo
                    al campo ancora grigio gli agricoli  corpo tremante d’inquïetudine
                    mirava scalza col piè ratto      e le cercanti dita: ride
                    passar tra i roridi odor’ del fieno.  la madre e slanciasi tutta amore.
                          Curva su i biondi solchi i larghi omeri   A lei d’intorno ride il domestico
                          udivan gli olmi bianchi di polvere   lavor, le biade tremule accennano
                          lei stornellante su ‘l meriggio  dal colle verde, il büe mugghia,
                          sfidar le rauche cicale e i poggi.  su l’aia il florido gallo canta.
                    E quando alzava da l’opra il turgido  Natura a i forti che per lei spregiano
                    petto e la bruna faccia ed i riccioli  le care a i vulghi larve di gloria
                    fulvi, i tuoi vespri, o Toscana,   così di sante visïoni
                    coloraro ignei le balde forme.   conforta l’anime, o Adriano:
                          Or forte madre palleggia il pargolo   Onde tu al marmo, severo artefice
                          forte; da i nudi seni già sazio   consegni un’alta speme de i secoli.
                          palleggialo alto, e ciancia dolce  Quando il lavoro sarà lieto?
                          con lui che a' lucidi occhi materni  quando securo sarà l’amore?
                                    quando una forte plebe di liberi
                                    dirà guardando ne’l sole: – Illumina
                                    non ozi e guerre a i tiranni
                                    ma la giustizia pia del lavoro–? (pag. 906)
               Un’altra poesia: Guerra – termina con un quando; ma è dubitativo non desiderativo come qui.

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