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LEZIONI  DI  LETTERATURA ITALIANA - ANNO ACCADEMICO 1906-1907



                    Questo ci conduce a credere che il Poeta al quinto canto dell’Inferno
                    fosse già a Ravenna. In questo credo coll’affermazione di Boccaccio, per
                    quanto i critici in genere, non siano per prestargli fede, sotto il pretesto
                    ch’egli solesse ornare troppo i suoi racconti di fresche retoriche.
                    Morto Arrigo, Dante andò a Ravenna e cominciò il poema.
                    A credere ciò si oppone questo argomento: È impossibile che un poe-
                    ta così grande componga in così pochi anni (dal 1313 al 1321) un tan-
                    to poema. Io dico che quelli che credono che il tempo fosse poco per
                    Dante, non si rendono ragione della natura artistica di lui. La Divina
                    Commedia sembra a tali critici un lavoro di cesello, una delicata filigra-
                    na, un intarsio, invece per me è roccia scavata dallo scalpello di un Mi-
                    chelangelo. Come nelle statue di Michelangelo molto è lasciato rozzo e
                    non finito, così nel poema dantesco ci sono dei versi che ognuno di noi
                    avrebbe fatto meglio come ad es: l’ultimo verso dell’episodio del Con-
                    te Ugolino. Ma Dante aveva fretta, sentiva la morte, perciò procedeva
                    avanti, senza indugiarsi a limare e ripulire.
                    Virgilio dice di Enea: (Demisit lacrimas, dulcique affatus amore est: In-
                    felix Dido ...) Eneide VI 450 [455-56]
                    Così Dante ha subito il nome dell’eroina in bocca:
                    ... «Francesca, i tuoi martiri (116 – 12[0];)
                    Amore qui è personificato al solito come una forza irresistibile.
                    Le parole con cui Francesca comincia il racconto del suo dolce passato,
                    sono prese in generale per una citazione che ella faccia di una massima
                    che abbia letto al suo bel tempo in qualche libro. Nessuno degli ammi-
                    ratori di Dante sembra aver capito la sconvenienza, la pedanteria di far
                    cominciare Francesca con una citazione sia di Severino Boezio sia di al-
                    tri, come un predicatore.
                    La massima è sua, di Francesca, non  ricavata da  altri;  è  perso-




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