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LEZIONI  DI  LETTERATURA ITALIANA - ANNO ACCADEMICO 1906-1907



                    Egli doveva trovare in una grande selva un ramo d'oro e con que-
                    sto andare a placare la dea dei morti, Persefone o Proserpina, e, pla-
                    cata la dea, vedere suo padre. Ma come trovare il ramoscello se era
                    in una selva grande? Poi doveva seppellire il corpo di Miseno l’ami-
                    co suo, che essendo insepolto, macchiava tutta la sua compagnia di
                    guerrieri. Trova sopra la spiaggia del mare il cadavere del trombet-
                    tiere; ma si doveva bruciarlo, entra nel folto della foresta a prov-
                    vedere la legna pel rogo e vede scendere dal cielo due colombe che
                    lo guidano e allora trova il ramo d'oro, lo spicca, ne nasce un altro.
                    Enea giunge ad una spelonca da cui esalano fiati mefitici: è l'inferno.
                    Fa sacrifizio di agnelle nere, come in Omero, poi della vacca sterile che
                    Odisseo promette solo. Fatto questo si avvia nella caligine incerta come
                    quando c'è e non c'è la luna, e vanno nel regno dei morti.
                    Prima trovano dei simboli, piuttosto che personaggi, poi i mostri, un
                    grande fiume (Acheronte) un vecchio navicellaio (Caronte) che non li
                    vuol ricevere, perché i corpi vivi non si possono trasportare. Enea mo-
                    stra il ramo d'oro e allora approda di là. Al primo entrare udì un gran-
                    de vagito di bambini (condannati ingiustamente dalla natura, prima di
                    avere avuto la loro parte di vita e di felicità[)]; poi vede coloro che furo-
                    no condannati a morte per false accuse e vicino siede Minosse che rifor-
                    ma le sentenze date dagli uomini.
                    Il terzo ordine di persone sono i morti d'amore. Qualche cosa di in-
                    giusto anche questo. L'amore è vita, senza di esso non sarebbe il mon-
                    do, e tuttavia per questi infelici è stato causa di morte. E questi in-
                    felici,  infelici anche  di  là,  pensano  sempre alle  loro pene  d'amore.
                    Errano in una grande selva di mirti (albero di Venere) per segreti sen-
                    tieri, e alcuno mostra la sua ferita. Tra queste anime di donne aman-
                    ti, morte d'amore, fresca ancora della sua ferita errava Didone fe-
                    nicia nella grande selva, cui l'eroe troiano, quando le fu presso e la
                    conobbe fra le altre ombre oscure, come chi vede o pargli vedere tra le

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