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LEZIONI  DI  LETTERATURA ITALIANA - ANNO ACCADEMICO 1906-1907



                                non far, ché tu se' ombra, ed ombra vedi» (Purg. XXI°)
                    Ma questa non è ancora la Francesca: vediamo chi fu la France- sca ne-
                    gli antichi.
                    Vengono un'infinità di donne, di eroine, di cui Ulisse dice la genealo-
                    gia. Poi s'interrompe nel suo racconto e parla d'altro coi suoi ascoltato-
                    ri Feaci. Quindi torna alla narrazione interrotta, e racconta che vide i
                    suoi antichi compagni d'armi, morti. Trova prima di tutti Agamennone
                    e si meraviglia vedendolo morto e gli domanda quale destino lo vinse. –
                    Ed egli racconta che la moglie sua lo tradì e lo fece uccidere in un ban-
                    chetto dal suo complice Egisto. – Odisseo piangeva ancora di pietà per
                    il  triste  racconto  di  Agamennone,  quando  vede  sorgere  l'anima  di
                    Achille. Egli ha la felicita[à] d'essere felice anche nel regno dei morti,
                    perché è come il re quaggiù. Achille risponde con quelle parole che in-
                    dussero Platone nella sua Repubblica a escludere i poeti: «Io preferirei
                    di essere un garzone di un contadino povero vivo, che re di tutti i mor-
                    ti.» Ma non condanniamo con Platone l'eroe e il poeta che l'ha cantato!
                    Achille è l'eroe del dolore e lo porta nel suo nome: in greco atos [ᾅχος]
                    vuol dire dolore. Ora questa confessione da morto, questo suo afferma-
                    re la suprema dolcezza della vita, fa rifulgere di postuma luce il suo eroi-
                    smo da vivo, per il quale egli da giovane bello forte subiva volontaria-
                    mente, per il dovere, il suo fato acerbo.
                    Odisseo vede ora un altro personaggio. – Stavano le altre anime dei
                    morti estinti e ognuno gli domandava de' suoi dolori (aveva dopo mor-
                    to, ognuno il suo cruccio principale e ognuno addimandava i suoi do-
                    lori, le sue pene) «Solo l'anima di Aiace (in greco Aiante) figlio di Tela-
                    mone, se ne stava lontano, in disparte adirato per via della vittoria che
                    io vinsi a riguardo delle armi di Achille. Le aveva poste Teti, la veneran-
                    da madre (sottinteso come un premio). Oh io non dovevo vincere ta-
                    le premio se per quella vittoria la terra doveva coprire nel suo grembo
                    la gloriosa testa di Aiace. (Le armi di Achille furono dalla madre Teti-
                    de destinate al più degno guerriero, a chi aveva fatto più male ai Gre-
                    ci. Vinse Odisseo e Aiace impazzò e si uccise. Aiace era il migliore in
                    bellezza e per via della sue opere, sempre però dopo Achille senza
                    macchia).

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