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LEZIONI  DI  LETTERATURA ITALIANA - ANNO ACCADEMICO 1906-1907



                                     LEZIONE OTTAVA
                                   rivista e corretta dal p.  Pascoli.
                                                       r
                          Nel giorno dell’Ascensione dobbiamo ascendere anche noi.
                    Ascendiamo dove possiam trovare uniti, mano con mano, i tre più
                    grandi poeti del mondo: Omero, Virgilio e Dante. È un’ascesa che
                    vi parrà una discesa perché li troveremo insieme questi tre grandi nel
                    mondo di là che è sottoterra, tra la caligine. Ma non ho bisogno di ri-
                    petere quello che Dante ha preso a S. Paolo che non ascende se non chi
                    discende; e la contemplazione del mondo di là è ciò che distingue gli
                    uomini dalle bestie, e la più grande poesia è rampollata sempre da que-
                    sta contemplazione.
                    Vediamo l’episodio di Francesca da Rimini, colla sua derivazione. Fran-
                    cesca deriva dalla Didone Virgiliana, che deriva alla sua volta da un per-
                    sonaggio omerico. – Questo ci darà agio di vedere il mondo di là di
                    questi spiriti magni dell’umanità: Omero, Virgilio, Dante.
                    Piuttosto che ragionare leggo ed espongo.
                    L’oltremondo omerico è nell’undicesimo canto dell’Odissea.
                    Odisseo, latinamente Ulisse, è da Circe la Dea figlia del Sole, la quale
                    gli dice che se vuole notizie del suo ultimo viaggio e del destino che l’a-
                    spetta, deve andare nel mondo di là e consultare l’anima di Tiresia. Egli
                    mette la nave in mare. È Ulisse che racconta: «Poi che noi scendemmo
                    nella nave e prima la nave traemmo al mare scintillante (divino)» Gli
                    epiteti come quello «scintillante» sembrano quasi inutili, ma forma-
                    no l’essenza dello stile del poema epico. «Noi ponevam le vele e pren-
                    demmo le vittime e nel cavo legno le introducemmo, poi vi entrammo
                    noi stessi con pianto e terrore» (Al mondo di là non ci si va volentieri.)
                    «La dal crin crespo e dal canoro labbro dea (Circe) veneranda un
                    gonfiator di vela vento in poppa mandò, che fedelmente ci accom-
                    pagnava. E noi dopo avere messa in ordine ogni parte dell’attrez-

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                                                                    Dispensa 9 a


















                                                                                149
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