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LEZIONI  DI  LETTERATURA ITALIANA - ANNO ACCADEMICO 1906-1907



                    Così vedendo quel lume pensa come se fosse in terra e vedesse Marte, il
                    quale è il pianeta più rosso. Egli certo pensava a qualche altra cosa per-
                    ché in un passo del Convito dice che sotto il segno di Marte stanno la
                    musica e i canti. Certo gli è venuto in mente perché (ciò si spiegherà tra
                    poco) con questo lume ci sono Canti. «Poi d’ogni lato di esso m’apparia
                    ... (Purgatorio, II, 22 a 30). A noi suona male quel galeotto del verso 27°,
                    ma vuol dire chi guida la galea. Molti di loro, certo, hanno pensato a que-
                    ste figure Dantesche. Questo p. e. è uno di quei versi («Omai ve-
                    drai di sì fatti ufficiali ») che tolgono ogni possibilità di interpreta-
                    re che il messo di Dio che apre la porta di Dite sia un angelo, se non
                    si vuole addirittura storcere le parole di Dante. «Vedi che sdegna gli
                    argomenti umani Sí che remo non vuol, né altro velo Che l’ale sue,
                    tra liti sì lontani. » Dante in questo momento fa che Virgilio ricordi un
                    altro che coi remi s’ingegnò di passare il gran mare che conduce all’i-
                    sola del Purgatorio: Ulisse. «Vedi che sdegna etc… » mentre quell’al-
                    tro che cercò con tanta fatica di avvicinarsi, quando fu vicino fu tra-
                    volto in mare da una misteriosa tempesta. L’angelo è tutto il contrario
                    di Ulisse che come uomo dell’antichità, prima di Cristo, non pote-
                    va avere che la vita attiva; gli era negata la vita contemplativa. Egli era
                    irraggiato da 4 stelle, come Catone, non però da sette. Aveva, se mai
                    le quattro virtù cardinali, ma mancava delle tre teologiche. «Vedi co-
                    me le ha dritte verso ‘l cielo, Trattando l’aere con l’eterne penne, Che
                    non si mutan come mortal pelo.» Quello che a noi può, p. e., dispiace-
                    re è quella parola – pelo – , quasi volgare. Ma Dante vuole che noi ri-
                    cordiamo i vecchi tardi e gravi della compagnia di Ulisse. Io e i com-
                    pagni eravam vecchi tardi – e noi ce li figuriamo colle barbe bianche.
                    E questo mi ricorda l’ultima lezione che ho sentita di Giosuè Car-
                    ducci, undici o dodici anni fa, un giorno che gli scolari offrivano a
                    lui un album coi ritratti dei discepoli dell’università del tempo anti-
                    co e del presente. Egli commentava il canto di Ulisse (Inferno 26°); e
                    a questo punto disse con quella sua maniera inimitabile: – ... quelle
                    barbe bianche fra cui soffiava il vento ... – Fu come un tratto di bac-
                    chetta magica, e ci parve di vedere questi vecchi, che volevano segui-
                    re virtude e conoscenza colle barbe bianche. E qui col dire che non


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