Page 118 - Lezioni di Letteratura Italiana
P. 118
LEZIONI DI LETTERATURA ITALIANA - ANNO ACCADEMICO 1906-1907
go della loro purificazione, benché ammetta che certuni non torne-
ranno più in vita e staranno sempre nel Tartaro dove soffriranno eter-
namente. Non è assurdo pensare che Dante sia stato ispirato a prendere
da Virgilio, oltre il Caron, anche il concetto dell’angelo perché trovia-
mo in Virgilio che Caron era destinato a tragittare le anime, che anda-
vano di lì a purificarsi.
In questi due Canti dell’Inferno e del Purgatorio, Dante raffigura la
morte: la morte in ira e la morte in grazia.
«Una porta è, senza serrame. (Inf. VIII – 125 seg.) Dopo la por-
ta un grande spazio dove l’aria è tinta e il lume è fioco. (Inf. III – 29
e 75) Quello spazio, che digrada, ha per limite una riviera: un fiume
grande, da parer palude con acqua limacciosa e opaca. Una nave s’ap-
pressa per lo stagno livido. Fiammeggiano da essa, come uniche scintille
in tutta questa opacità d’acqua e d’aria, due occhi di bragia. Sono d’un
nocchiero vecchissimo. (Inf. III passim.) A ogni momento nella ripa
s’affolta gente. Il nocchiero appressa la barca, gridando parole d’eter-
na sanzione. Nella gente, cioè tra le anime, sorge uno strepito di denti
e di bestemmie e di pianto. E s’avanzano in quel barlume verso la rivie-
ra e verso i due occhi di fuoco. Formano quasi un grappolo, un ramo,
un albero. Da esso si staccano a una a una le anime, foglie che appena si
tengano al ramo per il picciuolo mortificato, cui assalgono i primi venti
freddi dell’autunno. Guardando verso la palude, si scorge però che non
si staccano da sé, ma via via per cenni del demonio barcaiuolo. E allora
non sembra più quello lo sfogliarsi e il mondarsi d’un ramo. Quel for-
micolìo d’anime sembra uno stormo di uccelli, dei quali ognuno, l’un
dopo l’altro, si butti a terra per il richiamo di quell’orribile uccellatore.
La nave s’allontana su per l’acqua opaca e nera. Non è di là quella nave,
né sono ancora discese quelle anime, che di qua s’affolta nuova gente e
la barca ritorna, e suonano le grida di quel dimonio, si vedono nell’o-
scurità quei due occhi simili a carboni accesi che ruotino, e si forma di
nuovo quell’albero di foglie caduche, e di nuovo si monda. Così Dante
ha veduto la morte: (non posso indugiarmi in confronti con Virgilio;
ed è superfluo ammonire che Dante spiritualizza tutte le circostanze
virgiliane) la morte di quelli che muoiono nell’ira di Dio.» (G. Pascoli:
- Sotto il Velame – cap. Il vestibolo e il limbo – pagg. 59, 60)
Difatti nel verso 70 e seguenti, fino alla fine del
cap. 3° dell’Inferno: «E poi che a riguardar oltre mi diedi, etc. »
ha rappresentato la morte, e sanno che ogni momento
ne muor tanti, e à [ha] espresso anche in sé questa medesima
morte, e questa è cosa che loro vedranno continuando a leg-
58.
135