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LEZIONI DI LETTERATURA ITALIANA - ANNO ACCADEMICO 1906-1907
Ora risponde a Bonagiunta: « ... « Io mi sono un ... etc ...» L’espressio-
ne non è superbia. Era già cancellato dalla sua fronte il P. della superbia.
Dante qui dice quello che nel D. V. E. non è un gran merito, non per
virtù di straordinario ingegno.
C’è lo stesso tono che nella risposta a Cavalcante. Egli non si vanta di
aver più ingegno del suo amico, (che allora, quando Dante scriveva,
non quando immaginava di scrivere, era già morto) ma dice che a quel-
lo mancò ciò che si suole sprezzare; lo studio che dà la forza al poeta per
elevarsi. E nella seconda parte del[la] frase: «… vo significando…» c’è
espresso il fatto della facilità, l’immediatezza, di rendere il concetto con
le parole più appropriate, con divina facilità. E questa è opera di studio.
Questa facilità Dante esprime qui con far del poeta un copista che scri-
ve a dettato di un maestro. Egli la esprime più superbamente nel D.V.E.,
quando parla del volo dell’aquila. Come l’aquila si solleva senza fatica
fino alle nuvole, così uno che ha studio trova subito le parole per espri-
mere il suo concetto. Senza fatica!
«O frate, issa veggio, – disse, – il nodo che il Notaro e Guittone e me
ritenne Di qua dal dolce stil nuovo ch’i’odo.» Adesso vedo il nodo,
l’impaccio. Le loro penne non correvano dritte, non trovavano le paro-
le adatte a loro. Ci voleva ciò che mancò in parte a Guido C.: lo studio
dei grandi poeti. «Io veggio ben come le vostre penne Diretro al ditta-
tor sen vanno strette,» Così come D. va dietro a Virgilio senza paura
pei regni della colpa e della macchia; così come delle parole di Virgilio
l’ingegno di D. è seguace. Sicché quando voi troverete nelle poesie di
D. quelle che sono più popolari, più facili e così in Cavalcanti, viene in
mente di dire: – Lo stil nuovo è questo? No, è forse qualche cosa che ac-
comuna D. a Cavalcanti e al povero Bonagiunta e al Notaro etc.; qual-
che cosa ricalcato sugli infiniti modelli provenzali e francese innanzi a
loro. Per fare qualche cosa di nuovo secondo D. bisognava tornare allo
studio dei grandi poeti e non lasciarsi andare a scrivere ogni cosa a imi-
tazione degli altri rimatori volgari, che sprezzava.
Chi sa? Dante ha voluto significare, nella replica di Bonagiunta,
che il povero buon lucchese ha veduto Virgilio, ha capito chi è e per-
ciò issa vede, argomentando più da quella compagnia che dalle parole
proferite.
Infine un’altra osservazione. Dante non è superbo nel dire che Guido
Cavalcanti gli è rimasto addietro, nell’affermare che la Divina Com-
media è superiore alla poesia di Guido. In verità la Divina Commedia
trascende persino l’Eneide: infatti nelle due prime cantiche Dante è co-
me Enea; ma nella terza è Paolo, che va in cielo.
E ha lasciato la guida del poeta antico.
(Fine della 6ª lezione)
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