Page 112 - Lezioni di Letteratura Italiana
P. 112

LEZIONI  DI  LETTERATURA ITALIANA - ANNO ACCADEMICO 1906-1907



                    lio:
                    « ... : «Tu prima m’inviasti
                    Verso Parnaso a ber nelle sue grotte,
                    E poi, appresso Dio, m’alluminasti.
                          Facesti come quei che va di notte,
                          Che porta il lume retro e sé non giova,
                          Ma dopo sé fa le persone dotte,
                    Quando dicesti: – secol si rinnova;
                    Torna giustizia e primo tempo umano,
                    E progenie discende dal ciel nuova. –
                          Per te poeta fui, per te cristiano;»
                    Tradotto liberamente da Virgilio (Bucolica IV, 4 «Ultima Cumaei ve-
                    nit iam carminis aetas; magnus ab integro saeclarum nascitur ordo. Iam
                    redit et Virgo, redeunt Saturnia regna; Iam nova progenies coelo de-
                    mittitur alto;»
                    Nel M.E. si credeva che Virgilio avesse colle sue parole profetizzato il
                    Cristo; e leggendo Stazio quella profezia, diventò cristiano; e questo
                    vuol dire essere perfetto filosofo. In verità, la seconda persona della Tri-
                    nità è la Sapienza, cioè Cristo. Dunque tanto vale la Sapienza, essere
                    amici della Sapienza, cioè filosofi, quanto essere seguaci del Cristo, cioè
                    cristiani.
                    Anche Dante arriva prima a una donna che canta, salmeggia cogliendo
                    fiori nella divina foresta, ed è una spec[i]e di Musa: è l’arte e gli parla
                    dei fiumi eterni Leté ed Eunoé che rassomigliano molto alle due fonti
                    mitiche d'ispirazione: è l’arte propria (cioè la Musa, a detta di Dante).
                    Dunque Dante con Matelda è poeta, con Beatrice è cristiano. Prima
                    trova l’arte, poi la scienza (uguale a sapienza).

                    Bonagiunta Urbicciani da Lucca chiede a Dante:  «Ma dì s’io veg-
                    gio qui colui che fuore trasse le nuove rime cominciando:  «Don-
                    ne, ch’avete intelletto d’Amore.» Anche nella V. N. Dante par-
                    la di questa canzone, e ne parla con solennità narrando come si
                    sentisse ispirato a pronunziare quel primo verso, e poi a lungo pen-
                    sasse, prima di cominciare la canzone, in cui, nella seconda stanza,
                    è trattato il concetto teologico della Speranza che non è né in Cielo
                    né in Inferno, ma sulla Terra. Con quella solennità Dante ci fa capi-
                    re che egli credeva d’aver fatto una vera novità con quella canzone.



                                                55.








                                                                                129
   107   108   109   110   111   112   113   114   115   116   117