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LEZIONI  DI  LETTERATURA ITALIANA - ANNO ACCADEMICO 1906-1907



                    abito delle scienze, per filosofia. Ora nel Convito medesimo, in quel
                    passo che ho ricordato (colla dichiarazione della parola filosofia) è che
                    c’è uno studio che conduce all’arte e alla scienza, ossia sapienza e un
                    altro studio che nell’abito acquistato si adopra. Il primo è quello che
                    io chiamo qui amore. Ho osservato che Virgilio conduce Dante a due
                    donne, la seconda delle quali è indubbiamente la sapienza. Anche se
                    voi per certe questioni, nelle quali specialmente si aggira la parola di
                    Beatrice, la volete chiamare teologia, io non ripugno purché avvertiate
                                                                 II, 13° ) la parola fi-
                    che è usata abusivamente come nel capitolo del Convito ( III, 12
                    losofia per sapienza: perché Dante vi ravvisa due cose, l’amore e l’ogget-
                    to di esso. Osservando che Virgilio conduce Dante a due donne delle
                    quali una senza dubbio è la sapienza, io venni nel pensiero, confermato
                    da mille altri argomenti, che Virgilio rappresenti precisamente l’amo-
                    re in senso di studio e in senso proprio. Perché in realtà Virgilio ragio-
                    nava Dante di Beatrice nello stesso modo che nel Convinto: «Amor,
                    che nella mente mi ragiona». Dante ha scritto tre opere con argomento
                    molto consimile: la V. N. il Convito e la Divina Commedia: consimili
                    perché si tratta sempre di amore. Nel Convito è amore per una donna
                    gentile, non per Beatrice; ma Beatrice ritorna, in quel libro, a essere vera
                    donna; e la donna gentile prende invece l’antico significato di Beatrice:
                    Sapienza o filosofia. Le tre opere sono amorose; le prime due conten-
                    gono le personificazioni d’amore ad ogni passo, la terza, che è la sinte-
                    si del pensiero di Dante, non conterrà questa personificazione? Così:
                    «Colui che attende là per qui mi mena» è chiarissimo quando voi inter-
                    pretiate Virgilio per studio o per amore. Questo concetto era già stato
                    dichiarato dal Perez siciliano, uomo di grande ingegno, ma poco com-
                    preso e accusato di aver inventato i testi anche dal Gaspary e ciò pro-
                    va la poca pazienza dei critici di andare a cercare nei testi citati da lui.
                    Così si viene anche a spiegare quell’ebbe, che è una pietra insormon-
                    tabile, d’inciampo, per chi interpreta Dante. Lo studio, invero, non è
                    cominciato lì per lì, ma in altri tempi. Donde il passato remoto ebbe.
                    Se Virgilio rappresentasse l’idea imperiale, oltre non intendersi perché
                    Guido sdegnasse, egli bianco, l’impero, non si comprenderebbe quel
                    passato remoto.
                    Cavalcante domanda a Dante: – Se tu fai questo viaggio, que-
                    sta opera mirabile di poesia, per che modo non c’è mio figlio?
                    – E Dante nella sua risposta vuol intendere: – Forse in un cer-
                    to punto della sua vita ebbe a disdegno lo studio che aveva co-
                    minciato. – E si riscontra precisamente nella vita di G. Cavalcan-
                    ti che egli si gettò nella politica e combatté la parte di Corso Donati

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