Page 106 - Lezioni di Letteratura Italiana
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LEZIONI  DI  LETTERATURA ITALIANA - ANNO ACCADEMICO 1906-1907



                                       LEZIONE SESTA
                                       Riveduta e corretta dal
                                          Prof.  G. Pascoli
                                              r
                    Domenica faremo due episodi della D.C.: la morte nella D.C. ossia il
                    nocchiero della livida palude e il celestial nocchiero: uno dell’Inferno,
                    l’altro del Purgatorio; l’approdo per dir così nel mondo di là, quando si
                    muore in ira a Dio e quando si muore con Dio placati. Questi due epi-
                    sodi sono il contrapposto l’uno dell’altro.
                    Intanto continuiamo colla questione capitale per la lingua italiana, col
                    dolce stil nuovo; lo bello stile che Dante prese a Virgilio e il dolce stil
                    nuovo, che sono la stessa cosa. Nell’episodio di Cavalcanti, con cui ter-
                    minammo, Dante risponde al padre del suo Guido: …. «Da me stes-
                    so non vengo». Quindi viene a dire: non è solo per ingegno che vengo
                    quaggiù; giacché Cavalcanti aveva detto: « ... : «Se ... vai per l’altezza
                    d’ingegno.» cioè se Dante fa questo viaggio, questa opera grandiosa di
                    contemplazione e di sapienza per l’altezza d’ingegno, perché non c’è
                    chi ne aveva tanto come lui? Dante risponde: « ... : «Da me stesso non
                    vegno, Colui che attende là per qui mi mena.» Le interpretazioni so-
                    no molte secondo come s’interpreta la figura di Virgilio. Io dico: Che
                    cosa ci vuole per Dante, oltre l’ingegno? Da numerosi passi del D.V.E.,
                    è, oltre l’ingegno, la scienza. Ora dice arte e scienza, ora arte e scienze
                    (abitus scientiarum), le scienze che sono parti di sapienza, perché evi-
                    dentemente scienza l’adopera, Dante, per farsi intendere meglio invece
                    di sapienza, sicché, parlando con più correzione di Dante, noi dovrem-
                    mo dire che oltre l’ingegno ci vuole l’arte e la sapienza. In un passo del
                    Convito, mostra di saper l’ètimo di filosofia, cioè amore di sapienza.
                    Egli dirige la canzone all’amore e parla di una donna e interpreta amore
                    per studio e la donna per sapienza e viene a dire che egli fa un uso amo-
                    roso di sapienza cioè filosofeggia poetando. Dopo aver ben diviso que-
                    sto concetto di filosofia e aver detto che la donna rappresenta la sapien-
                    za e l’amore lo studio, dopo, la donna la chiama sempre filosofia. Non
                    per negligenza, ma per farsi meglio intendere: però ha avvertito che le
                    due prime sillabe – filo – appartengono ad un altro personaggio. Ciò
                    nella canzone che comincia: «Amor, che nella mente mi ragiona»
                    Mi sento autorizzato a interpretare scienza per sapienza, oltre che scienze,

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