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LEZIONI DI LETTERATURA ITALIANA - ANNO ACCADEMICO 1906-1907
LEZIONE QUINTA (seguito e fine)
e SESTA
Ed egli ha il suo canone di poeti, che ci fa vedere laggiù nel Limbo.
Un improvvisatore, di questi, che tirano le ottave, in Tosca-
na, diceva i suoi versi. Vi fu una spec[i]e di conflitto e uno dis-
se: – Rispettate il poeta. – Gli si rispose che quello era un poeta
a caso. È strano che si trovi questo a caso di Dante in bocca a un
popolano. Il poeta a caso è il perfetto opposto del poeta grande,
che appartiene alla categoria di coloro, che poetarono, come già si
disse, con grande stile ed arte regolare. Volere o non volere, la fa-
mosa frase: « ... : «Io mi son un che, quando Amor mi spira, no-
to, ed a quel modo Che detta dentro, vo significando. » » come la
interpretano abitualmente, ci porta discretamente alla concezione
di poeta a caso.
«Perciò accade che noi quanto più strettamente imitiamo i poeti
grandi tanto più drittamente poetiamo.» E questi poeti grandi, co-
me si sa, sono i poeti regolari cioè latini. Ecco la teorica che ritorna.
Dopo aver detto che se vogliamo porre nelle nostre opere qual-
che dottrina bisogna studiare le loro arti, e le loro poetiche dot-
trine imitare, (e Dante pare che dell’arte poetica di Orazio, che
chiama – magister noster –, e di altri, qualche cosa ne sapesse)
ricorda la frase che Orazio pone nel principio della sua – Poeti-
ca – : Sùmite materiam vestris, qui scribitis, aequam – Viribus…
(Prendete materia adatta ai vostri omeri (alle vostre forze) ).
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Dispensa 7ª
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