Page 10 - Lezioni di Letteratura Italiana
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LEZIONI  DI  LETTERATURA ITALIANA - ANNO ACCADEMICO 1906-1907



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               Coelo tona[n]tem canta Orazio, e Dio  E il sol nel radïante azzurro immenso
               Parla tra i nembi sovra l’aquilon,  Fin de gli Abruzzi al biancheggiar lontano
               Io dirò co' i cannoni: O gregge mio,  Folgora, e con desío d’amor più intenso
               Torna ai paschi d’Engaddi e di Saron.  Ride a' monti de l’Umbria e al verde piano.
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               Ma poi che noi rinnovelliamo Augusto,  Nel roseo lume placidi sorgenti
               Odi, Sangallo: fammi tu un lavoro  I monti si rincorrono tra loro,
               Degno di Roma, degno del tuo gusto,  Sin che sfumano in dolci ondeggiamenti
               E del ponteficato nostro d’oro. –  Entro vapori di vïola e d’oro.
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               Disse: e il Sangallo a la fortezza i fianchi  Forse, Italia, è la tua chioma fragrante,
               Arrotondò qual di fiorente sposa:  Nel talamo, tra' due mari, seren,
               Gittolle attorno un vel di marmi bianchi,  Che sotto i baci dell’eterno amante
               Cinse di torri un serto a l’orgogliosa.  Ti freme effusa in lunghe anella al sen?
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               La cantò il Molza in distici latini;  Io non so che si sia, ma di zaffiro
               E il paracleto ne la sua virtù     Sento ch’ ogni pensiero oggi mi splende.
               Con più che sette doni a i perugini  Sento per ogni vena irmi il sospiro
               in bombe e da' mortai pioveva giù.  Che fra la terra e il ciel sale e discende.
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               Ma il popolo è, ben lo sapete, un cane,  Ogni aspetto novel con una scossa
               E i sassi addenta che non può scagliare,  D’antico affetto mi saluta il core,
               E specialmente le sue ferree zane  E la mia lingua per se stessa mossa
               Gode nelle fortezze esercitare;    Dice a la terra e al cielo, Amore, Amore.
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               E le sgretola; e poi lieto si stende  Son io che il cielo abbraccio, o da l’ interno
               Latrando su le pietre ruinate,     Mi riassorbe l’universo in sé?...
               Fin che si leva e a correr via riprende  Ahi, fu una nota del poema eterno
               Verso altri sassi ed altre bastonate.  Quel ch’io sentiva e picciol verso or è.
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               Così fece in Perugia, ove l’altera  Da i vichi umbri che foschi tra le gole
               Mole ingombrava di vasta ombra il suol,  De l’Apennino s’amano appiattare;
               Or ride amore e ride primavera,    Dalle tirrene acròpoli che sole
               Ciancian le donne ed i fanciulli al sol.  Stan su fioriti clivi a contemplare;


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