Page 8 - Lezioni di Letteratura Italiana
P. 8
LEZIONI DI LETTERATURA ITALIANA - ANNO ACCADEMICO 1906-1907
venir fuori dei veri pittori e dei forti scultori; la scienza ha dato e dà in-
gegni altissimi, scopritori e inventori fortissimi. Tuttavia, paragonando
le nostre ricchezze a quelle degli stranieri, sentiamo di non esser ricchi.
In letteratura abbiamo Carducci, abbiamo questo poeta di cui, dopo la
morte dell’Hugo, non c’è stato l’uguale in Europa e in America. L’I-
talia ha avuto la fortuna d’aver un poeta che facesse sentire la sua voce
tutto in un momento. Siamo onorati tutti in lui. Io ho detto che voglio
lasciare la parola a lui, oggi, leggendo qualche cosa di lui che sia di buon
augurio per tutto quest’anno. Sceglieremo, per primo, il Canto che sta
quasi nel centro dell’opera poetica del Carducci. È un canto del 1877,
e levando al principio gli anni della puerizia e all’ultimo quelli della
inattività senile si ha presso a poco che questa poesia è il punto centra-
le della sua attività poetica ed anche, in certo modo, il punto in cui il
fosco poeta, così lui stesso si definì, acquista la serenità che è necessaria
alla poesia.
La poesia è veramente contemplazione e la contemplazione non
può avvenire che quando il cielo è purgato di nuvole, nel tempo stesso è
commozione, una scossa (così parla il Carducci) d’amore e questa non
può succedere che dopo la tempesta e così è la quiete dopo la tempesta.
Bisogna aver provato le commozioni, le ire, la tempesta e dopo essersi
rappacificati ha luogo la poesia d’amore. La poesia d'amore è quando la
tempesta dei sensi dà tregua. Il poeta in questo anno aveva già trovato la
sua espressione, il suo strumento adottato: le odi barbare; ne aveva già
fatte qualcuna, ma ritorna, per questa poesia, alla legge antica, ai metri
della giovinezza. Si trovava a Perugia non so se per esami o per far par-
te di una Commissione, (un po’ di prosa vicina alla poesia), e vide una
piazza dove era sorto un castello turrito destinato, in altri tempi, a tener
a freno i Perugini, e questo lo ispirò. Leggerò, dunque,
Il canto dell’amore
1ª 2ª
Oh bella a’suoi be’dì Rocca Paolina – Quel gregge perugino in fra i burroni
Co’baluardi lunghi e i sproni a sghembo! Troppo volentier – disse – mi si svia.
La pensò Paol terzo una mattina Per ammonire, il padr eterno ha i tuoni.
Tra il latin del messale e quel del Bembo. Io suo vicario avrò l’artiglieria.
2.