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LEZIONI  DI  LETTERATURA ITALIANA - ANNO ACCADEMICO 1906-1907



                    venir fuori dei veri pittori e dei forti scultori; la scienza ha dato e dà in-
                    gegni altissimi, scopritori e inventori fortissimi. Tuttavia, paragonando
                    le nostre ricchezze a quelle degli stranieri, sentiamo di non esser ricchi.
                    In letteratura abbiamo Carducci, abbiamo questo poeta di cui, dopo la
                    morte dell’Hugo, non c’è stato l’uguale in Europa e in America. L’I-
                    talia ha avuto la fortuna d’aver un poeta che facesse sentire la sua voce
                    tutto in un momento. Siamo onorati tutti in lui. Io ho detto che voglio
                    lasciare la parola a lui, oggi, leggendo qualche cosa di lui che sia di buon
                    augurio per tutto quest’anno. Sceglieremo, per primo, il Canto che sta
                    quasi nel centro dell’opera poetica del Carducci. È un canto del 1877,
                    e levando al principio gli anni della puerizia e all’ultimo quelli della
                    inattività senile si ha presso a poco che questa poesia è il punto centra-
                    le della sua attività poetica ed anche, in certo modo, il punto in cui il
                    fosco poeta, così lui stesso si definì, acquista la serenità che è necessaria
                    alla poesia.
                          La poesia è veramente contemplazione e la contemplazione non
                    può avvenire che quando il cielo è purgato di nuvole, nel tempo stesso è
                    commozione, una scossa (così parla il Carducci) d’amore e questa non
                    può succedere che dopo la tempesta e così è la quiete dopo la tempesta.
                    Bisogna aver provato le commozioni, le ire, la tempesta e dopo essersi
                    rappacificati ha luogo la poesia d’amore. La poesia d'amore è quando la
                    tempesta dei sensi dà tregua. Il poeta in questo anno aveva già trovato la
                    sua espressione, il suo strumento adottato: le odi barbare; ne aveva già
                    fatte qualcuna, ma ritorna, per questa poesia, alla legge antica, ai metri
                    della giovinezza. Si trovava a Perugia non so se per esami o per far par-
                    te di una Commissione, (un po’ di prosa vicina alla poesia), e vide una
                    piazza dove era sorto un castello turrito destinato, in altri tempi, a tener
                    a freno i Perugini, e questo lo ispirò. Leggerò, dunque,

                                       Il canto dell’amore








                                 1ª                           2ª
                    Oh bella a’suoi be’dì Rocca Paolina  – Quel gregge perugino in fra i burroni
                    Co’baluardi lunghi e i sproni a sghembo!  Troppo volentier – disse – mi si svia.
                    La pensò Paol terzo una mattina   Per ammonire, il padr eterno ha i tuoni.
                    Tra il latin del messale e quel del Bembo.  Io suo vicario avrò l’artiglieria.




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