Page 68 - Pablo Picasso
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nell’acquaforte  del  1904  intitolata  Il  pasto  frugale.  Insieme  alle
           tendenze naturalistiche dei suoi disegni, il 1905 registra uno sviluppo

           dell’elemento  narrativo  nell’arte  picassiana  in  generale.  Già  il  poeta
           russo  Aleksandr  Blok  osservava  (sempre  nel  1905)  questo  tipo  di
           stupefacente interazione: «Spesso i fondamenti di una proposizione – il

           soggetto  e  il  verbo  –  coincidono  rispettivamente  con  il  colore  e  la
           linea».[46]

              La linea di Picasso diviene ora vivace, sensibile al dettaglio, eppure
           leggera,  sofisticata  e  nervosa;  sembra  intonare  le  note  più  alte  della
           forma.  Corpi  lunghi  e  flessuosi  resi  nella  loro  interezza,  spigolosi

           gomiti  sollevati,  estremità  aggraziate,  profili  raffinati,  curve  insolite,
           angolosità, rughe. È una linea dotata di un timbro lirico, che necessita

           di  temi  corrispondenti,  come  il  verso  libero,  qualcosa  di  intimo  sul
           piano dell’atmosfera e di filosofico sul piano del contenuto.

              Per i temi Picasso attinse al mondo dei circhi itineranti, con tutta la
           ricchezza  di  potenziali  interpretazioni  liriche  e  filosofiche  che  esso

           contiene.  E  ciò  è  particolarmente  vero  proprio  per  l’artista  che
           considerava quel mondo come una metafora dell’ambiente in cui lui era
           immerso,  la  bohème  artistica  di  Montmartre,  dove  si  viveva  «in

           povertà,  ma  splendidamente»  (Max  Jacob)  in  preda  a  febbrile
           eccitazione e a una sensibilità acuita dalla fame, tra la cordialità degli

           amici e una devastante, melanconica alienazione. La visione picassiana
           era ispirata e pittoresca: è una visione da poeta, che per contenuto ed

           emotività si avvicina alquanto all’atmosfera dei Poemetti in prosa  di
           Baudelaire, mentore spirituale sia di Picasso sia dei poeti suoi amici.

           Nella loro condizione di emarginati sociali, questi giovani si sentivano
           legati  al  destino  del  poète  maudit,  e  ogni  loro  ricostruzione  storica
           finiva  immancabilmente  per  poggiare  su  Baudelaire,  eroica  figura  di

           genio ribelle che fu, per essi, come uno dei fari da lui descritti.
              Anzi, la Montmartre di questi giovani poeti e pittori – un abbaino e

           un attico a Parigi – ricordavano in una certa misura la squallida eppure
           magica  camera  doppia  (tinteggiata  di  rosa  e  di  blu)  descritta  da
           Baudelaire  in  uno  dei  suoi  Poemetti  in  prosa.  Il  Ragazzo  con  cane

           esposto all’Ermitage, poi, sembra addirittura una risposta esplicita a un
           altro  poemetto  baudelairiano,  Les  bons  chiens:  «Io  canto  il  cane

           infangato, il cane senza domicilio, il cane flâneur, il cane saltimbanco,
           il  cane  il  cui  istinto,  come  quello  del  povero,  dello  zingaro  e

           dell’istrione, è reso meravigliosamente acuto dalla necessità, da questa
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