Page 50 - Pablo Picasso
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alieno,  ripiegato  su  se  stesso,  vagamente  fuori  dal  tempo:  una
           sensazione  accentuata  dalla  struttura  architettonica  dell’edificio,

           risalente al XII secolo.
              Il ritmo ripetitivo delle spoglie volte ad arco, i lunghi e rimbombanti
           corridoi percorsi da processioni di detenute e l’atmosfera di spiritualità

           di  questo  ex  monastero  devono  aver  lasciato  il  segno  su  Picasso,
           sensibile  com’era  a  certe  impressioni.  Era  al  corrente  dei  progetti  di

           Van Gogh (che all’epoca era il suo pittore preferito) di dipingere figure
           femminili  sacre  dal  vero,  conferendo  loro,  al  contempo,  l’aspetto  di
           moderne donne di città e quello delle cristiane delle origini?

              Se la risposta è negativa, allora la coincidenza è davvero strabiliante,
           perché  il  giovane  spagnolo  che  osservava  le  strazianti  e  struggenti

           scene  di  donne  con  i  loro  bambini  (alle  detenute  era  consentito  di
           tenere con sé i figli) trasformò il tema delle madri-prostitute di Saint-

           Lazare in maternità dei tempi moderni. Queste figure potrebbero essere
           poste in relazione, almeno in via ipotetica, con il mito goethiano delle

           madri, delle grandi vestali che custodiscono i prototipi di tutto ciò che
           esiste (si veda Faust, parte II). Nulla di sorprendente, se si considera
           l’influsso  di  Goethe  sulla  cultura  del  simbolismo  in  generale  e,  in

           particolare,  se  si  cercano  le  molte  allusioni  figurative  alle  due  scene
           conclusive del Faust rintracciabili in un dipinto eseguito nello stesso

           periodo  delle  maternità  di  Saint-Lazare,  ossia  la  grande  opera
           programmatica intitolata Il funerale di Casagemas.

              In  ogni  caso,  non  c’è  dubbio  che  Picasso,  preso  nelle  spire  dello
           sguardo “blu” da lui rivolto al mondo, trovò l’universale nel concreto:

           l’espressione – simbolica, ricca di senso ed emotivamente lacerante –
           di  una  sofferenza  universale.  Si  trattava  di  un’emozione  più  estetica
           che  empirica.  Per  questo  nel  dipingere  la  donna  da  lui  osservata  (o

           immaginata?), Picasso tralasciò ogni tratto individuale e ogni dettaglio
           sociale, per limitarsi a esprimere il lato oscuro dell’eterno femminino:

           quella  che  gli  pareva  la  sofferente  essenza  metafisica  della  donna.
           Persino dettagli banali come la divisa da infermeria e i tipici copricapo
           bianchi delle detenute risultano trasmutati in abiti astratti, in qualcosa

           di simile al berretto frigio della Marianne.
              Trasformate dalla percezione dell’artista, si riducono nella sua opera

           a deboli tracce delle figure reali di Saint-Lazare. Cionondimeno, la loro
           pervicace  presenza  dà  conto  della  potenza  con  cui  la  dura  realtà  del

           carcere ha influenzato l’immaginario e lo stile stesso del Periodo Blu
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