Page 178 - Pablo Picasso
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primi fruitori e resta a tutt’oggi ineguagliata. Inoltre, non sarebbe errato
           né  esagerato  affermare  che,  in  quegli  anni,  i  visitatori  della  casa-

           galleria  di  Shchukin  avevano  una  maggiore  familiarità  con  la
           produzione  del  giovane  Picasso  di  quanto  non  accadesse  agli  amanti
           dell’arte  di  altre  città  europee,  Parigi  inclusa,  perché  Picasso  non

           esponeva  nei  grandi  Salons  e  si  asteneva  dal  partecipare  a  qualsiasi
           mostra collettiva.

              Viveva  per  la  sua  arte,  coltivava  solo  le  amicizie  più  strette  e
           preferiva  affidare  la  vendita  delle  proprie  opere  ai  mercanti  d’arte,
           curandosi  pochissimo  della  fama  derivante  dalle  esposizioni  in

           pubblico. Benché Shchukin lo ammirasse e avesse molta fiducia in lui,
           non tutte le opere e gli approcci stilistici di Picasso erano ugualmente

           accettabili  per  questo  mecenate  russo:  un  fatto  a  cui  abbiamo  già
           accennato.  Shchukin,  per  esempio,  non  acquisì  neppure  un’opera  del

           periodo 1910-11, cioè della fase più ermetica e astratta del cubismo, da
           lui  probabilmente  considerata  troppo  astrusa.  D’altra  parte,  il  proto-

           cubismo  arcaico  e  monumentale  del  1908  e  il  raffinato  stile  à  la
           Cézanne del 1909, che il collezionista intese forse come una sorta di
           prosecuzione  del  suo  prediletto  Periodo  Blu,  sono  rappresentati  con

           eccezionale ampiezza, e attraverso le opere più significative. Le scelte
           compiute da Shchukin riflettono il suo particolare modo di intendere

           Picasso:  pittore  spagnolo,  asceta  estremo,  spirito  visionario,  ma  per
           certi versi anche demoniaco.

              A Shchukin, cui piaceva esprimere il proprio pensiero per contrasti, è
           attribuibile il seguente aforisma: «Matisse dovrebbe decorare i palazzi;

           Picasso le cattedrali».[110] E così, nella sua casa a due piani in stile
           Impero, Shchukin colloca Matisse in una sala ampia e molto illuminata
           (il  salone  rosa),  mentre  le  tele  dello  spagnolo  sono  relegate  in  una

           solitaria  stanza  dal  soffitto  voltato  che  Tugendhold  definì,  in  modo
           semplice ma icastico, “la cella di Picasso”.

              Matisse e Picasso, pertanto, si presentarono al pubblico russo come
           l’antitesi  palazzo/cattedrale:  un  fatto  che  avrebbe  avuto  conseguenze
           significative.  Non  meno  significativo,  però,  è  il  fatto  che  la  sintetica

           definizione  di  Shchukin  rispecchi  anche  la  generale  sensibilità  della
           cultura post-simbolista russa nei confronti di Matisse e Picasso.

              E  siccome  in  Russia,  tradizionalmente,  il  criterio  in  base  al  quale
           valutare  un’opera  d’arte  era  la  risposta  che  quest’ultima  forniva  alla

           domanda  “perché?”,  è  facile  comprendere  come  per  la  cultura  russa
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