Page 156 - Pablo Picasso
P. 156

piani di colore retrocedenti che, come le fibre di un cesto di vimini, egli
           intrecciava  a  comporre  un  opera  pittorica  unitaria,  vibrante  della

           vitalità di forme viventi. Il colore, però, presenta un problema molto
           particolare.  «Del  colore»,  osserva  Braque,  «l’unico  aspetto  per  noi
           interessante era quello della luce. Colore e spazio non sono forse tra

           loro in relazione? Decidemmo dunque di svilupparli insieme [...] e per
           questo  fummo  definiti  “astratti”!».[98]  Luce  e  spazio  sono  concreti,

           agli occhi dell’artista, ma i valori e i piani sono astratti quasi quanto le
           lettere che compongono le parole connotanti i pensieri o denotanti gli
           oggetti. Piani obliqui fumosi e semi-trasparenti, inclinati da una parte o

           dall’altra, si uniscono come pezzi di metallo intorno a una calamita e si
           fondono  in  modo  incomprensibile  nel  riconoscibilissimo  Ritratto  di

           Ambroise Vollard.
              I  bordi  delle  superfici  piane  diventano  elementi  del  disegno  e

           definiscono i tratti caratteristici del volto, i dettagli dell’abbigliamento
           (bottoni,  bavero  della  giacca,  fazzoletto  nel  taschino  e  altri  aspetti

           dell’interno (la bottiglia sul tavolo). Come se cercasse la quadratura del
           cerchio, Picasso costruisce la volta cranica del suo modello per mezzo
           di piani sovrapposti. Con energiche striature, egli segna le linee e le

           masse principali della faccia appesantita e assonnata di Vollard: il naso
           piccolo e rotto e la linea aspra della bocca.

              Sebbene non vi sia imitazione nel linguaggio plastico di Picasso (già
           nel  1910  egli  non  ritrae  «dalla  natura,  bensì  con  la  natura,  come  la

           natura»),[99]  non  può  sfuggire  la  sbalorditiva  precisione  delle
           sofisticate  gradazioni  tonali,  che  conferiscono  al  ritratto  forza  vitale

           malgrado  la,  o  forse  a  causa  della,  natura  chiaramente  relativa  delle
           forme che lo compongono. Il viso di Vollard affascina.
              Osservando i suoi tratti marcati e duri, si capisce come mai Cézanne,

           che eseguì un ritratto di Vollard dieci anni prima, accusasse il famoso
           mercante  d’arte  di  rue  Lafitte  di  essere  uno  schiavista.  Eppure,  la

           letargica maschera di Vollard presenta anche un elemento tragico, che
           sarebbe  stato  documentato  da  successive  fotografie,  pur  avendo  già
           fatto la sua comparsa in precedenza, in periodi di profonda melanconia

           e di sonnambolico torpore tipici della sua natura. E quando posò per
           Picasso  doveva  essere  proprio  in  questo  stato.  Generalmente

           considerato  un  capolavoro  del  cubismo  analitico,  il  Ritratto  di
           Ambroise  Vollard  conservato  a  Mosca  è  davvero  un  capolavoro  di

           realismo psicologico, che mette in luce una qualità percepita, nel 1910,
   151   152   153   154   155   156   157   158   159   160   161