Page 105 - Pablo Picasso
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preparatoria,  e  quei  pochi  finirono  per  risultare  assai  diversi  da
           com’erano stati concepiti in origine. Nonostante l’attenzione riservata

           negli anni Settanta alle opere picassiane del cosiddetto “proto-cubismo
           “e  malgrado  gli  sforzi  compiuti  per  mettere  un  po’  d’ordine  nella
           comprensione della sua evoluzione,[62] il periodo tra il 1907 e il 1908

           resta ancora difficile da decifrare. La cronologia è confusa e rispecchia
           una  vaga  comprensione  delle  idee  creative  dell’artista,  della  loro

           interrelazione  e  della  loro  evoluzione.  La  questione  della  filosofia
           pittorica  che  Picasso  in  questo  periodo  coltivava  è  stata  scarsamente
           considerata  e,  anzi,  la  sua  importanza  non  è  stata  ancora  valutata

           appieno.  L’approccio  formale,  la  preconcetta  classificazione  delle
           opere di questo periodo come proto-cubiste o pre-cubiste (ossia come

           proto-fase  nello  sviluppo  del  cubismo  per  sé)  non  permette  agli
           studiosi di apprezzare in pieno l’importanza di Picasso.

              Eppure  fu  proprio  nel  1908,  al  culmine  del  “proto-cubismo  “che  i
           visitatori dello studio di Picasso lo sentirono parlare «non di valori e

           volumi»,  bensì  «di  soggettività,  di  emozioni  e  di  istinto».[63]  Se  si
           accantona  la  categoria  del  proto-cubismo  e  si  osserva  il  materiale
           creativo  del  1908  come  entità  a  sé  stante,  ignorando  differenze  di

           formato e tecnica tra le diverse opere – dipinti, sculture, schizzi –, si
           riesce a cogliere la loro organica unità, la monumentalità d’insieme non

           delle opere in quanto tali, ma delle idee creative di Picasso.
              Si  è  involontariamente  portati  a  pensare  a  un  grandioso  progetto

           rimasto incompiuto: qualcosa di simile alla tomba michelangiolesca di
           papa Giulio II, in cui singole sculture – elementi (spesso incompleti)

           dell’intera opera – hanno per troppo tempo condotto una loro esistenza
           separata,  in  collocazioni  diverse,  in  un  ruolo  che  l’artista  non  aveva
           mai  previsto,  cose-in-sé  misteriosamente  significative  e  dotate  di

           autonomo valore, schegge di un tutto mai esistito.
              Lo stesso può dirsi, infatti, della produzione picassiana del 1908 che

           già a prima vista sorprende, con il suo significato e la forza espressiva;
           tuttavia,  perché  schegge  isolate  acquistino  il  loro  vero  significato,
           occorre  ricostruire  il  loro  contesto.  Come  Goethe,  Picasso  avrebbe

           potuto dire (e in effetti lo disse, benché con parole diverse): «Le mie
           opere  non  sono  che  frammenti  di  un’unica  grande  confessione;  per

           comprenderle, occorre conoscere la loro origine, cogliere l’attimo del
           loro concepimento».[64]

              Passando dai dipinti alle idee originarie – schizzi, abbozzi, studi –, in
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