Page 4 - Amici come prima. Storie di mafia e politica
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stato il mio caso, forse perché ricordo ancora in maniera troppo netta quel
che aveva detto e scritto Giovanni Falcone che, pur in un pessimismo
inevitabile della ragione, di fronte alla situazione italiana, era convinto che
la mafia, fenomeno storico e umano, avrebbe potuto, prima o poi, essere
sconfitta e avere fine come capita a tutti i fenomeni di quel genere.
Quel che è certo è che l'esito delle elezioni politiche del 2001 e
l'avvento al potere, non più per sette mesi ma per un'intera legislatura, del
governo di Berlusconi ha segnato un'ulteriore svolta negativa nella già
critica situazione dei rapporti tra mafia, politica ed economia nel nostro
paese.
Ne c'è da stupirsi se, per non parlare di altri episodi significativi come le
dichiarazioni del ministro Lunardi sulla necessità di convivere con la mafia,
nel maggio 2002 il giudice per le indagini preliminari del processo di
Caltanissetta sulle stragi di Capaci e di via d'Amelio, Giovanbattista De
Tona, chiedendo l'archiviazione del procedimento intrapreso contro
l'attuale presidente del Consiglio Berlusconi e il suo sodale senatore
Marcello Dell'Utri (contro il quale pende tuttora un altro processo per
concorso esterno alla mafia presso il Tribunale di Palermo), ha ritenuto di
dover aggiungere che l'indagine «lasciando al pubblico ministero le
valutazioni di sua competenza in ordine all'utilità di tali dati per individuare
ulteriori piste investigative, rivela che tali accertati rapporti di società
facenti capo al gruppo Fininvest con personaggi in varia posizione facenti
capo all'organizzazione Cosa nostra, costituiscono dati oggettivi che
rendono quantomeno del tutto non implausibili né peregrine le ricostruzioni
offerte dai diversi collaboratori di giustizia, esaminate nel presente
procedimento, in base alle dichiarazioni dei quali si è ricavato che gli
odierni indagati (cioè Berlusconi e Dell'Utri) erano considerati facilmente
contattabili dal gruppo criminale».
Se a questi elementi che dovrebbero suscitare (ma non c'è stata finora
nessuna reazione) allarme nella politica italiana e imbarazzo in persone
che oggi siedono in parlamento e, nel caso di Berlusconi, presiedono
addirittura il governo della Repubblica, si aggiunge l'appello che Leoluca
Bagarella - uno dei più noti capimafia, cognato di Riina, rinchiuso nel
carcere di Ascoli Piceno - ha rivolto pubblicamente allo Stato, chiedendo
conto di promesse non mantenute «agli avvocati delle regioni meridionali
che ora siedono negli scranni parlamentari a nome di tutti i detenuti
stanchi di essere strumentalizzati, vessati, umiliati e usati come merce di
scambio», il lettore può avere un quadro più chiaro della torbida situazione
che caratterizza i rapporti tra Cosa nostra e una parte almeno del mondo
politico nel nostro paese.