Page 3 - Amici come prima. Storie di mafia e politica
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Prefazione
1. Licenziando la mia introduzione all'ultima edizione Laterza di Mafia,
politica e affari 1943-2000, alla vigilia delle elezioni che avrebbero
riportato al potere Silvio Berlusconi e la sua Casa delle libertà, scrivevo che
il bilancio degli anni '90 era stato gravemente deficitario nella lotta della
società italiana contro le associazioni mafiose.
Ricordavo che, dopo la tensione degli italiani, del mondo politico come
di quello della società civile e della comunicazione nel biennio succeduto
alle due grandi stragi mafiose (ma non solo) di Capaci e di via d'Amelio,
che avevano ucciso i giudici Falcone e Borsellino con le loro scorte, era
subentrata una sorta di crescente indifferenza nei confronti della questione
mafiosa.
Nello stesso tempo, Cosa nostra aveva compiuto una svolta accorta
mettendo da parte la strategia seguita fino a quel momento da Salvatore
Riina, arrestato peraltro nel gennaio 1993, e invece dell'attacco frontale e
terroristico agli uomini dello Stato aveva scelto il percorso
dell'inabissamento e dell'apparente «invisibilità», per riprendere i suoi
affari e dominare appalti e commesse pubbliche non soltanto nell'isola ma
dovunque fosse possibile penetrare nelle istituzioni pubbliche e concludere
con gli uomini della politica accordi convenienti senza colpo ferire.
Questo accadeva negli anni successivi alla temporanea sconfitta di
Berlusconi e quindi alla vittoria della coalizione di centrosinistra e ai
governi che, nel segno dell'Ulivo o comunque del centrosinistra, si sono
succeduti per qualche anno. Dunque già in un'epoca che appare oggi
lontana e quasi irraggiungibile.
Ricordo un dibattito pubblico cui presi parte nel Veneto, alla fine degli
anni '90, con un politico ed economista importante della coalizione (che
peraltro ho sempre sostenuto politicamente): di fronte alle mie critiche
sulla scarsa tensione nella lotta alla mafia, sugli accomodamenti che, finite
le stragi clamorose dei primi anni '90, caratterizzavano lo scenario politico
e della comunicazione, delegando a magistrati e poliziotti una guerra che,
con quelle sole armi, era destinata per convincimento comune dei
protagonisti alla sconfitta, quel mio collega e amico non si senti di
contraddire alla radice le mie affermazioni ma piuttosto allargò le braccia e
sostenne che troppi, anche nella coalizione di centrosinistra, non potevano,
o forse non volevano, vincere la guerra contro la mafia.
C'era di che avvilirsi e scoraggiarsi di fronte a simili opinioni ma non è