Page 294 - Lezioni di Letteratura Italiana
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della vostra città è qui nel mare. Qui c’è strada che non ha bisogno di pietre, ed è
preparata per chi voglia navigare. Se state dentro, c’è l’urbe, se venite fuori, sul mare,
c’è l’orbe. E i pastori furono presi dal desiderio di andar fuori e di emulare le onde
che sono sempre in volta. Ciò conferma il desiderio nostro di essere potenti in mare
e ricorda che la potenza romana, il primo avviamento di Roma alla sua grandezza, si
deve probabilmente alla nave con cui i Romani facevano la navigazione fluviale e il
piccolo cabottaggio nelle spiaggie del Tirreno. Tanto è vero che nelle antiche mone-
te è impressa una prua di nave. Aratro e nave, buona agricoltura e buona navigazio-
ne: i destini d’Italia insomma.
Verso sera, le nuvole parve si tingessero del sangue che si spargeva in terra. Era
nata una rissa fra i pastori che se ne volevano andare e quelli che volevano restare. I
primi compiangevano la terra madre – Trattarla così, col vomere, è troppa crudeltà!
– E qui si allude a cose vedute con acuto sguardo da Giacomo Boni, l’esploratore del
foro romano. Egli vedeva impressa nei massi di molte fondamenta del foro un’ascia
o martello da muratore. Egli spiega questo rito così: Come gli uomini violavano la
terra con questo strumento, così l’arma stessa doveva essere consacrata alla terra. Ma
gliela consacravano in figura, s’intende.
Quest’ascia, Roma consacrò prima nell’Italia, poi nelle viscere di tutta la ter-
ra. Essa si trova anche sotto altari, anfiteatri, terme, nell’Egitto, nelle Gallie, sotto
gli archi trionfali che sono come le grandi porte senza imposte, sempre aperte per la
gloria che passa.
Roma, invero, si trovò, nella sua via, per tutto il mondo. C’era a Roma, un
cippo, una pietra, coperta d’oro e si chiamava il miliario d’oro, la pietra miliare d’o-
ro, che era come il centro donde si irradiavano le strade di Roma, che la portavano
per tutto il mondo. Erano 28. Nel principio, stavano all’ombra di cipressi, avevano
dei tumuli a lato, poi continuavano attraverso piani e monti, scavandoli come presso
il Furlo; varcavano le selve, i fiumi, con ponti che durano ancora, le Alpi, con avvol-
gimenti da permettere la salita. Da questa pietra partivano le strade, come fossero le
saette di un gigantesco arciere che volgendosi a mano a mano a tutti i venti, lancias-
se per aria i suoi dardi. Per esse passarono le legioni romane, da prima piccole schie-
re con per bandiera un manipolo di spighe intramezzato di fiori e una mano per far
vedere la varietà nell’unità (l’albero dai molti rami). Poi le insegne diventarono ci-
gnali, elefanti, lupi; poi venne l’aquila. In questi aspri costumi militari si conserva-
va sempre memoria dell’antica semplicità: le parti delle coorti si chiamaron sempre
manipoli; la tromba del comando era sempre una buccina (corno vuoto, per segno
da monte a monte); l’insegna del centurione (comandante di compagnia) un sar-
mento di vite.
(qui il professore restringe in causa dell’ora tarda)
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