Page 266 - Lezioni di Letteratura Italiana
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noi notiamo che a guardia del cerchio della violenza è il Minotauro, mostro mezzo
               toro e mezzo uomo, che Dante qualifica per via bestiale; a guardia e come simbolo e
               tragittatore dei peccatori del cerchio della frode è Gerione, il quale ha la faccia d’uo-
               mo giusto, ma è in tutto il resto, meno le branchie, serpente; e noi siamo subito con-
               dotti a vedere in questo Gerione il serpente infernale che tentò Eva. Ora, il serpente
               infernale fu, secondo la Bibbia, mosso da invidia. Vediamo, finalmente, che a capo
               di tutto l’Inferno e, specialmente, della ghiaccia, che è al centro della terra, è Lucife-
               ro col nome di Dite; Lucifero che è antidio; Lucifero che osò alzare le ciglia contro
               il suo creatore; Lucifero che è manifestamente e concordemente simbolo di super-
               bia. Dunque Dante, pur chiamando violenza, frode, tradimento i tre ultimi peccati
               dell’Inferno, fa però vedere che essi equivalgono a ira, invidia, superbia. Dunque, i
               sette peccati enumerati da Virgilio sono i sette della dottrina cristiana.
                     Salendo al Monte, Dante ha sette P descritti nella fronte e attraversa sette
               cornici, che puniscono sette peccati; i sette, in ordine inverso, che sono già espiati,
               eternamente, nell’Inferno. Un angelo, ho già avvertito, in ogni cornice, ventila Dan-
               te con un colpo di ala e gli toglie un P; all’ultimo passa per il fuoco e poi è tuffato nel
               fiume, poi beve all’altro fiume. Ora, il mirabile della costruzione dantesca sta in ciò,
               che Dante, questo pellegrino oltremondano, è nel tempo stesso un eroe antico, che
               segue Virgilio, cantore di eroi, e un personaggio biblico (Giacobbe o Israele), il qua-
               le misticamente serve Laban per sette anni e per altri sette per poter giungere all’a-
               mata sua. È, Dante, un eroe antico che segue Virgilio; invero, Virgilio nel 6° libro
               dell’Eneide descrive la discesa di Enea agli Inferi. Gli Inferi sono da Dante veduti
               quasi nello stesso modo in cui li vide Enea. Ci sono degli infanti nel primo cinghio;
               ci sono delle donne morte di amore; e c’è l’Inferno, anche, di pena atroce. Ma chi
               direbbe che, oltre l’Inferno, Dante trovasse in Virgilio anche il Purgatorio? E pur sì.
               Enea va prima a vedere questo inferno di dolore, sente raccontare le pene dell’Infer-
               no del castigo, ossia del Tartaro, che in Dante sono l’Inferno dell’incontinenza e Di-
               te; ma Enea il suo proprio fine non ha in ciò: egli vuol vedere Anchise, il morto suo
               padre, il quale deve dargli utili avvisi per la sua impresa di procacciarsi la nuova pa-
               tria in Italia. Sale, perciò, e trova eroi, trova poeti, sacerdoti, trova uomini giusti che
               vivono nel beato Elisio. Tra questi, indirizza la parola a Museo, che ha il suo nome
               dalla Musa. Museo gli indica la via per andare ad Anchise, suo padre. Trova Anchise,
               il quale gli narra come succeda la purificazione delle anime. Le anime – dice Anchise
               – che informarono già dei corpi, tornano, quando escono dalla vita, con alcuna mac-
               chia contratta vivendo; e allora essi devono toglierla; la tolgono per mezzo di una
               triplice purificazione; col vento, col fuoco, coll’acqua. Dante, ho notato già, fa che le

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