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LEZIONI DI LETTERATURA ITALIANA - ANNO ACCADEMICO 1906-1907
ciamento lo fa destare. Essi continuano a dormire, ma sognano e dor-
mendo piangevano come fossero tornati bambini e avessero quella fa-
me che dovevano avere realmente, e poi si svegliano.
Ben se' crudel se tu già non ti duoli
Pensando ciò ch’ al mio cor s’annunziava:
E se non piangi, di che pianger suoli?
(Si annunziava dunque che i figliuoli erano quei lupicini e che doveva-
no morire di fame, – il sogno che diventa realtà ma ci sono quegli squar-
ci, quelle scane, che aggiungono qualche cosa di atroce.)
Già eran desti, e l’ora s’appressava (43-45)
(Pareva dicessero: vedrete che oggi non vengono)
Ed io sentii chiavar l’uscio di sotto (46-51)
(Anselmuccio era il più piccolo)
Però non lagrimai né rispos’io (52-54)
(intanto è passato un giorno e una notte, lunga…….)
Come un poco di raggio si fu messo (55-57)
(impallidito per la fame e pel dolore.)
Ambo le mani per dolor mi morsi; (58-63)
(è terribile questo padre che racconta [che racconta] che i figli sospetta-
rono in un suo movimento istintivo che, avendo fame volesse mangiar
le sue carni stesse, e che dicono: mangia di noi. È qualcosa di così ina-
spettato ...)
Queta’ mi allor per non farli più tristi;
Quel dì e l’altro stemmo tutti muti:
Ahi dura terra, perché non t’apristi?
(per ciò che doveva avvenire, non era meglio che a un tratto avvenisse
uno squarcio nella terra e ci avesse ingoiati tutti?)
– Poscia che fummo al quarto dì venuti (67-74)
(erano freddi - brancolava, tastava. Io credo (Dio mi perdoni!) che
quell’orribile dannato insista nell’affermare che erano morti, ben mor-
ti, da due dì morti, non per esprimere soltanto la sua disperazione di
padre, ma anche…….)
Poscia, più che il dolor poté il digiuno».
(Che cosa vuol dire quest’uomo ... che cos’ha fatto?)
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