Page 134 - Pablo Picasso
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solenne: il bouquet (che non è privo della rozzezza di una dozzinale
           stampa  ornamentale  popolare)  posa  su  una  massiccia  cassettiera  di

           mogano  come  su  un  piedistallo  e  sembra  prendere  vita  grazie  al
           nervoso dinamismo degli “orecchi” e degli “occhi” dei fiori, rivolti ora
           da una parte ora dall’altra, ai “gesti” delle loro foglie, al loro muto ma

           colorito accordo intonato nella cupa e oppressa atmosfera “spagnola”
           dello sfondo. «La capacità di vedere sta nel dimenticare i nomi delle

           cose», scriveva Paul Valéry[83] per descrivere la visione del pittore.
              Picasso, però, che di vedere era capace, aveva una sua personale e
           radicata  convinzione  riguardo  al  dimenticare  i  nomi  delle  cose  che

           dipingeva: coglieva le realtà dei suoi oggetti e ne trovava l’equivalente
           pittorico. Per tutta la sua carriera, il soggetto – il motivo-oggetto – non

           fu  mai  irrilevante  né  arbitrario,  essendo  ciò  che  forniva  l’impulso
           poetico della creatività.

              Benché il metodo cubista dell’esame tattile totale abbia consentito a
           entrambi i pionieri del cubismo di padroneggiare appieno l’oggetto, la

           differenza  sta  nel  fatto  che  questo,  per  Braque,  era  un  oggetto  di
           interesse artistico, mentre per Picasso si trattava di un oggetto d’amore.
              Come avrebbe potuto, allora, trascurare l’aspetto pittorico in nome di

           un  fine  puramente  estetico?  Come  avrebbe  potuto  essere  sedotto
           dall’astrazione?  La  sua  immaginazione  era  piena  di  oggetti  e  temi

           d’amore,  e  persino  alle  soglie  del  cubismo  (nell’inverno  1908-09)
           l’elemento rappresentativo prevale nettamente sul problema dell’unità

           strutturale  dell’opera.  In  questo  periodo  di  imprese  le  più  svariate,
           Picasso  non  sembra  essersi  neppure  preoccupato  di  “realizzare  un

           quadro” (anche qui, diversamente da Braque): si direbbe piuttosto che
           fosse affetto da una mania per le immagini, sennonché nel processo di
           elaborazione  questa  materia-immagine,  come  la  cera,  muta  e  si

           trasforma,  tra  le  sue  mani,  in  nuove  idee.  Bisogna  tener  presente  il
           luogo  in  cui  il  pittore  lavorava  (alcune  rare  fotografie  ci  aiutano,  in

           questo),  immaginare  l’artista  impegnato  a  “realizzare”  diverse  tele
           contemporaneamente,  più  volte,  ridipingendovi  sopra  o  prendendo
           spunto da una recente scoperta...

              Ciò  diede  origine  a  serie  o,  per  meglio  dire,  a  famiglie  di  dipinti,
           disegni,  schizzi:  nature  morte,  nature  morte  in  interni,  teste,  figure,

           figure in interni con nature morte, scene di genere, paesaggi e paesaggi
           con  figure  che  formano  composizioni  scenografiche.  Accanto  alla

           passione per il pittorico, molti altri fattori intervengono ad accrescere la
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