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Fede e storia del Santuario di Valverde
Lungo la vicenda di questa Vallis Viridis appaiono, carichi di vita e di fantasiosa esuberanza, cavalieri e regnanti, condottieri, gente povera e principi, santi dotti e ignoranti, ladri e convertiti, ognuno con il proprio linguaggio e una grande carica umana. Dovunque c’è storia e fede, tradizione e grande linearità. Siamo nella prima metà del secolo XI, un’epoca di grandi contrasti e di conflitti cruenti. La Sicilia è occupata dai Musulmani; ma l’esercito bizantino vuole riconquistarla. Dopo vari tentativi finalmente l'ultimo (1038-1043) viene condotto a buon esito dall’esercito di Giorgio Maniace, aiutato dai Normanni, i quali si segnalarono per il loro valore. Rimasti, però, scontenti per l’ingiusta spartizione del bottino da parte delle truppe greche, i normanni abbandonarono momentaneamente la Sicilia. È in questo contesto storico che va collocata la tradizione del Santuario di Valverde.
La sua origine si deve ad un fatto prodigioso operato dalla Vergine Madre di Dio: la conversione del brigante Dionisio. La tradizione popolare racconta che Dionisio, di origine ligure, ex soldato delle truppe normanne, dopo la delusione avuta per l’ingiusta spartizione del bottino di guerra, si ritirò nella boscaglia etnea e precisamente sull’altopiano della “Vallis Viridis” che adesso viene chiamato “Fontana”, e proprio qui si diede al brigantaggio.
Un giorno, siamo nel giugno dell'anno 1038, sulla sua strada capitò un umile viandante di nome Egidio. Questi era molto devoto della Madre di Dio. All’improvviso gli capitò davanti Dionisio. Questi, come era sua abitudine, minacciò di morte con un pugnale il povero Egidio, quando una voce proveniente dall’alto lo fermò: «Lascia» diceva «...non toccare il mio devoto». A quella voce Dionisio, voltandosi, vide una donna di meravigliosa bellezza, rivolgendogli la parola: «Deponi quell’arma e cessa di condurre codesta vita di brigantaggio». A quelle parole Dionisio capì che tutta la sua vita era uno sbaglio; gettò via l’arma tante volte omicida e, inginocchiatosi davanti ad Egidio, gli chiese umilmente perdono.
La sua grotta prima sinonimo di paura, divenne luogo di espiazione e di ravvedimento. Una sera, dopo aver molto pianto e pregato, si presentò davanti ai suoi occhi una celestiale visione: era la Madre di Dio che lo esortava ad aver fiducia nella sua misericordia; Io invitava ad accostarsi al sacramento della Confessione e ad accogliere la sua volontà: la costruzione di un tempio in suo onore. Ordinò quindi a Dionisio che si presentasse al Clero che processionalmente, con tutto il popolo, salisse sull’altopiano delle “Vallis Viridis” dove avrebbe mostrato con un prodigio il punto esatto in cui doveva essere costruito il tempio. Uno stormo di gru sovrastò i loro volti e disegnando nel cielo il nome di “Maria” indicò con chiarezza il luogo prescelto per la costruzione del tempio.
Da quel momento vi fu un’unica grande aspirazione: costruire al più presto il Santuario alla Vergine Madre di Dio. Ultimato il tempio, mancava un’icona che fosse il segno della presenza della Madre di Dio.
I lavori per la costruzione della primitiva cappella iniziano subito con grande fervore, ma procedono assai lentamente per la mancanza di acqua. La fede di Dionisio si rivolge ancora una volta alla Madonna che interviene ordinando di picconare alla base della roccia che forma la grotta dell’antico brigante. Ne scaturisce una polla d’acqua che non solo permette il proseguimento dei lavori di costruzione della cappella, ma diventa ben presto fonte di guarigione per molti ammalati.
I lavori, iniziati nel 1038 sono ultimati due anni dopo, nel 1040, ma la chiesetta rimane ancora priva di un segno della presenza di Maria.
Una notte di agosto, mentre è assorto in preghiera, Dionisio è colpito da un raggio di intensa luce e da una nube nella quale vede la Madonna attorniata da Angeli. Quando la nube si alza, e la luce scompare, una bellissima immagine di Maria è impressa sulla ruvida parete di un pilastro della chiesa.
La Madonna appare «Seduta su di una scranna a larga spalliera, vestita con tunica rossastra a fregi d’oro, stretta ai fianchi con cintura alla nazzarena. Un candido velo le copre il capo, lasciando vedere gli abbondanti capelli, che par si possano contare a uno a uno sulla spartitura della fronte.
Un manto, dal color celeste scuro, ricco di trine d’oro, le copre con grazia le spalle e le ginocchia, dandole un’espressione di maestosa dignità, il volto è di una bellezza di cielo: guance vermiglie e piene, breve la fronte, naso profilato, bocca pronunziata e ridente, occhi neri, vivacissimi, che fissano, parlano, conquistano, innamorano.
Con la destra sorregge il Figlioletto Gesù, dal volto di una ingenuità affascinante, dai capelli inanellati, bellissimo, vestito di una tunichetta bianca, sciolta al seno: le siede in grembo poggiandosi su di un cuscinetto verde-rosso a fregi d’oro. Con la manina destra benedice gli astanti guardandoli amorosamente, e con l’altra carezza una piccola gru, che timidamente si nasconde nella mano sinistra della Vergine bella. In alto due angioletti sorreggono un aureo triregno sul capo di Maria, quasi dicano che Essa è la Regina della Vallis Viridis fortunata e dell’Etna maestoso.