Page 1195 - Shakespeare - Vol. 2
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manipolazione del reale. E i due giovani cadranno facilmente nella trappola
          tesa, per riunirli, dal resto del gruppo, e consolideranno poi la loro intesa nel
          generoso tentativo di venire in aiuto di un’innocente calunniata e disonorata.
          Claudio invece s’è già innamorato di Ero, figlia di Leonato, e dopo qualche

          malinteso  la  ottiene  come  promessa  sposa  grazie  alla  mediazione  di  Don
          Pedro, che è il regista della prima metà dell’azione (fino alla seconda scena
          dell’atto III). Sebbene, dunque, sin dall’inizio si avviino quelle “notazioni sul
          nulla”  (noting  about  nothing),  quei  malintesi  e  quelle  false  notizie,  quegli

          orecchiamenti  involontari  (overhearings)  o  intenzionali  e  abilmente
          architettati per trarre in inganno (eavesdroppings), insomma quella briga su
          niente che qui forma la commedia degli errori che è poi la vita, tuttavia ogni
          cosa  andrebbe  con  armonia  e  quiete  verso  il  lieto  fine,  se  non  fosse  per

          l’intervento sconvolgente dell’altro esponente principesco, Don Juan. Da buon
          “cattivo”  (villain)  della  commedia  —  e  un  cattivo  convenzionale  e  quasi
          parodistico, che in fondo a nulla serve se non ad avviare in senso maligno la
          ruota della Fortuna — Don Juan non fa che tramare mascalzonate, sembra

          odiare in genere la felicità altrui, e tanto più quella di Don Pedro e del suo
          favorito  Claudio,  e  ai  due  nemici  tende  una  trappola  perversa.  Grazie  alla
          tresca fra un suo tirapiedi, Borraccia, e Margherita, l’ignara damigella di Ero,
          imbastisce  una  prova  di  infedeltà  e  spinge  i  troppo  creduli  avversari  a

          denunziare ignobilmente la ragazza proprio al momento delle nozze. Contro
          questa  irruzione  maligna,  che  getta  nel  dolore  la  famiglia  di  Leonato,
          muovono alla riscossa tre partiti. Il primo è formato da Leonato e dal fratello
          Antonio, anch’essi fin troppo pronti a credere alla calunnia, che dopo alcune

          scomposte agitazioni finiscono con l’accettare il suggerimento del buon Frate
          Francesco,  e  con  una  variante  comica  di  un  motivo  tragico  del Romeo  e
          Giulietta  inscenano  la  morte  di  Ero,  quasi  seguissero  avanti  lettera  i
          suggerimenti  del Breviario  del  Cardinale  Mazzarino,  di  usare  l’arte  della

          dissimulazione per contrastare gli inganni altrui e valersene come antidoto al
          veleno della frode, in altre parole per sopire lo scandalo e magari spingere al
          pentimento gli offensori. Il secondo partito è quello di Benedetto e Beatrice:
          per amore di lei il giovane conte sfida Claudio a un duello che non farà in

          tempo a effettuare. E infine c’è la balorda ronda di notte, che per caso ascolta
          la confessione ubriaca del manutengolo di Don Juan, e smaschera il delitto.
          Don Juan scappa da Messina, Don Pedro riconosce la propria colpa, Claudio
          espia  simbolicamente  l’errore  e  accetta  la  fittizia  proposta  di  Leonato  di

          riparare unendosi in matrimonio a una cugina di Ero. Entra nel gioco l’antico
          topos della  morta  viva  che  ritroveremo  nel Racconto d’inverno,  e  la  nuova
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