Page 1191 - Shakespeare - Vol. 2
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riso suscitato dalla stoltezza e dagli svarioni di un gruppo di deficienti, messi
lì a far ridere gli altri con comica cattiveria. La ronda partecipa alla gran briga
per nulla della recita inscenata dalla Fortuna, nelle cui mani essa è uno
strumento importante; ed è portatrice del tema di Erasmo e di Montaigne:
«nostre sagesse est moins sage de la folie» (Essais, II, xii). Ma essa ha anche
una sua dimensione di verità e di pietà sociali. Dogberry e Verges (qui
Sanguinello e Crescione), coppia comica del clown e della sua spalla, e
nell’immaginario della commedia un po’ alguaciles spagnoleschi e un po’
constables elisabettiani, sono dei poveri servi della gerarchia principesca. Essi
sono incapaci di usare il linguaggio del grado infimo di potere che è loro
assegnato, e lo rovesciano in una continua violazione della norma linguistica.
Quelle sprovvedute creature si autodrammatizzano nel proprio linguaggio e vi
trovano compenso e soddisfazione, anzi il loro capo è preda di un’ispirazione
linguistica grottescamente creativa. Contenti come cani del proprio successo,
che del resto non capiscono esattamente, sono esecutori fedeli della legge
del Principe cui dedicano la vita, ma con tutti i compromessi e gli
accomodamenti del caso: la comodità avanti tutto! Il proprio «particulare»
avanti tutto! La loro dedizione è a modo suo profonda, e grande è il trionfo
per la vittoria sul Male. Però mostrano anche la corruzione e l’ingiustizia della
giustizia, nel modo come trattano i catturati, nel pretendere con insulti e
scherni il riconoscimento immediato della colpa, il rispetto assoluto della
propria superiorità, la rigorosa aderenza alla lettera burocratica. Di qui il
dolore di Dogberry per essere stato chiamato somaro. Nella soggezione
umiliante imposta dall’alto, e che essi girano imponendola in basso, e nello
squallido senso della propria dignità, sono oltre che ridicoli, tristi e pietosi.
Sono grottescamente veri e umani come figure di Aristofane, o di Franz Hals
o Rembrandt.
Il livello dei clowns è come una serie di «scatti» sul più umile quotidiano della
polis, tra una festa e l’altra dei «migliori», tra un loro intrigo e l’altro, tra l’uno
e l’altro dei due balli che aprono e chiudono l’intreccio centrale. I balli sono
rituali del Potere e cinghie di trasmissione della sua cultura e dei suoi valori:
il primo serve ai giovani ardenti per formare le coppie e seguire gli usi del
mondo, il secondo è la celebrazione finale − ma ironica − di quel rischioso
passo, dice Montaigne (I, xxiii), in cui l’uomo crede di seguir la Natura ma
segue il costume. E visto che siamo di nuovo e sempre a Montaigne,
ricordiamo ciò che scrive John Florio traducendo, l’Apologie de Raimond
Sebond (II, xii) in un passo che può stare a epigrafe di Much Ado about
Nothing: «There’s more ado to interpret interpretations than to interpret